sabato 6 dicembre 2008

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVO

Schema di Piano programmatico del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze (di cui all’art. 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 - Atto n 36)

PROPOSTA DI PARERE ALTERNATIVO

La VII Commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati esaminato lo schema di Piano programmatico di interventi per la razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali del sistema scolastico di cui all’art. 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; tenuto conto dei contributi offerti nel corso delle audizioni informali del 21 e del 23 ottobre 2008 (espressi da organizzazioni sindacali, associazioni di dirigenti, insegnanti di ruolo e precari, rappresentanti di associazioni di genitori e di studenti, dal Comitato di lavoro nazionale per l’apprendimento pratico della musica) e del 4 novembre 2008 (pronunciati da rappresentanti dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dell’Unione delle Province Italiane e dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani); preso atto del parere della Conferenza Unificata Stato, Regioni e Autonomie Locali del 13 novembre 2008; considerato che nel Piano la riduzione drastica delle risorse finanziarie ed umane (tagli per 7 miliardi e 832 milioni di euro, corrispondenti a 87.341 posti di personale docente e 44.500 posti di personale ATA in meno) è motivata con affermazioni generiche, non supportate da dati certi e coerenti, come quelle relative: alla spesa per alunno. Non è chiaro se essa si riferisca alla spesa pubblica o alla spesa complessiva. La mancanza di indicazioni è rilevante dal momento che dai dati OCSE relativi all’anno 2003 si evince che la spesa pubblica in Italia è pari al 3,5% del PIL (pari alla media OCSE), mentre la spesa privata rappresenta lo 0,1% del PIL (media OCSE è 0,4). Risulta così evidente che la maggiore spesa pubblica per alunno si giustifica per il minore apporto dei privati. Già nel Rapporto OCSE 2007 relativo ai dati dell’anno 2004 la spesa pubblica scende al 3,4 del PIL. Per una corretta rappresentazione dei dati occorre inoltre tener conto degli andamenti relativi agli ultimi 4 anni durante i quali la spesa statale per l’istruzione è passata dal 3,1% del PIL al 2,8%. Per quanto riguarda, in particolare, la spesa per il personale secondo la pubblicazione del 2007 “La scuola in cifre” del Ministero della Pubblica Istruzione tale spesa è sotto il 90% di quella complessiva del Ministero e non il 97% come ha dichiarato più volte il Governo. Se poi si prende in considerazione la spesa pubblica complessiva (Stato, Regione, Enti Locali) come fa l’OCSE (pubblicazione “Education at a Clance 2007) l’Italia destina per il personale l’80,7% dei finanziamenti come la Francia e poco meno della Germania (85,1%). Pertanto, i problemi del nostro sistema d’istruzione non sono riconducibili ad una spesa eccessiva, semmai ad una sua maggiore efficacia ed efficienza e a maggiori investimenti in alcuni settori critici per migliorarne la qualità e adeguarla alla nuove sfide che il Paese deve affrontare. A tal fine sarebbe necessario considerare la scuola una priorità, una leva e un punto di forza per superare la crisi economica e finanziaria e promuovere una nuova prospettiva di crescita per l’Italia e far fronte alle sfide della società della conoscenza e dei mercati globalizzati. Per questo occorrerebbe investire sulle giovani generazioni, sui loro saperi e sulle loro competenze;al rapporto insegnanti alunni. Si tiene conto degli insegnanti di sostegno, ma non si considera il minor numero di alunni previsto per le classi che accolgono studenti disabili;ai divari tra gli esiti scolastici degli studenti italiani, rispetto a quelli di altri paesi e all’interno del territorio nazionale. Non si tiene conto che in altri paesi gli studenti della formazione professionale non partecipano alle prove. Non vengono esplicitate le forti differenze tra le tipologie degli istituti e le macro aree geografiche. I dati OCSE ci informano che il punteggio medio conseguito dagli studenti varia sensibilmente dal Nord al Sud del Paese: Nord Ovest 501, Nord Est 520, Centro 486, Sud 448, Sud Isole 432. Gli studenti dei licei conseguono risultati migliori (punteggio 518) rispetto a quelli di tutti gli altri indirizzi di studio, seguiti dagli studenti degli istituti tecnici (punteggio 475) e da quelli degli istituti professionali (418). Gli studenti dei licei del Nord Ovest, del Nord Est e del Centro e gli studenti degli istituti tecnici del Nord Ovest e del Nord Est si collocano al di sopra della media OCSE. Non viene, inoltre, evidenziato che i livelli di apprendimento degli studenti sono correlati ai livelli di sviluppo economico del territorio, alla spesa per l’istruzione sostenuta anche dalle Istituzioni locali, ai tassi di scolarizzazione della popolazione adulta e alle caratteristiche socio-culturali familiari; rilevato che non si fa cenno agli esiti scolastici positivi degli alunni della scuola primaria, che collocano l’Italia tra i primi posti nel Mondo e in Europa come risulta dai dati dell’indagine IEA PIRLS; considerato che il Piano è contrassegnato da una visione centralista che stride con il quadro normativo definito dal Titolo V della Costituzione, dalla normativa sull’autonomia scolastica e con il principio di sussidiarietà e di federalismo responsabile; considerato che il principio della leale collaborazione istituzionale avrebbe richiesto di praticare un dialogo e un confronto aperto con le Regioni, gli Enti Locali e le Istituzioni scolastiche autonome (confronto che non si è realizzato come risulta nelle audizioni informali tenute presso la VII Commissione); che nel Piano, inoltre, non sono indicati neanche per la successiva fase attuativa percorsi e strumenti di verifica di sostenibilità delle misure previste condivisi con le Regioni, gli Enti Locali e le istituzioni scolastiche autonome. A tal proposito anche il richiamo al “Quaderno Bianco” del settembre 2007 e alla linea di continuità con le leggi finanziarie relative agli anni 2007 e 2008 appare strumentale alla realizzazione della drastica riduzione della spesa. Infatti non si tiene in alcun conto la sperimentazione del modello organizzativo volto a innalzare la qualità del servizio di istruzione e ad accrescere l’efficienza e l’efficacia della spesa contenuto nella legge finanziaria 2008 (Legge 24.12.2007, n. 244, art. 2 commi dal 417 al 425). La sperimentazione prevede misure per affrontare alcune criticità, quali la distribuzione dell’offerta formativa e il rapporto alunni/docenti, in una visione integrata delle risorse destinate all’istruzione nei vari territori e della gestione locale dei risparmi derivanti dalla razionalizzazione della rete scolastica e dell’offerta formativa. Senza questa valutazione integrata, i tagli lineari previsti dalla legge 133/2008 e ribaditi nel Piano si traducono inevitabilmente in una pesante riduzione della qualità oltre che della quantità dell’offerta formativa nei vari territori e in una assoluta insostenibilità per le scuole; considerato che il “Quaderno Bianco”, oltre alla diagnosi ed alla comparazione con il quadro europeo, contiene una proposta rigorosa di riqualificazione della spesa, da riorientare verso le aeree di criticità del nostro sistema (livelli di apprendimento di base, emergenza Sud, meccanismi di reclutamento-valorizzazione della professionalità docente, incentivazione dell’autonomia scolastica e delle verifiche dei risultati, sistemi locali di “governance” virtuosa tra gli attori locali). Il Quaderno poi suggerisce di perseguire l’obiettivo di elevare di mezzo punto, e non di 1 punto come previsto nella L. 133/08 e nel Piano, il rapporto medio alunni/docenti in 5 invece che in tre anni. Una scelta che, tra l’altro, avrebbe consentito di dare piena attuazione al programma di assunzione del personale precario predisposto dal precedente Governo. Di tutte queste proposte non si tiene conto nel Piano, che convalida con alcuni teoremi il pesante taglio lineare alla spesa e al personale, da conseguire mediante: la riduzione degli orari scolastici, l’impoverimento delle professionalità, la semplificazione dei contenuti culturali dei piani di studio; considerato, inoltre, che l’elevamento del rapporto numerico alunni-insegnanti (che pure rappresenta un indicatore ragionevole per descrivere il funzionamento di un sistema educativo) non può essere utilizzato in modo indifferenziato come avviene nel Piano (aumento di 1 punto in tutte le situazioni) senza considerare i diversi fattori che incidono su tale rapporto (orario di funzionamento della scuola, consistenza delle classi, orario di insegnamento, modello organizzativo) e alcune scelte caratterizzanti il nostro sistema scolastico (integrazione degli alunni disabili, insegnamento concordatario della religione, capillare diffusione delle sedi scolastiche) e senza distinguere fra le situazioni virtuose e quelle più critiche. Una generica manovra sugli indici numerici, come ad esempio l’elevamento di 0,40 del numero degli allievi per classe, non consente di apprezzare il “carico” problematico cui deve far fronte l’organizzazione scolastica nei vari contesti territoriali: la diversa incidenza di alunni stranieri, l’85% di classi a tempo pieno nella scuola primaria in alcuni territori e in altri solo il 3-4%, la presenza diffusa nei piccoli comuni di scuole con un numero limitato di alunni, o ancora lo stato degli edifici scolastici e il rispetto delle norme sulla sicurezza degli ambienti; ritenuto che in un quadro di rigoroso utilizzo delle risorse umane sarebbe stato opportuno promuovere nel Piano una più equa distribuzione delle risorse disponibili con l’adozione del criterio “dell’organico funzionale d’istituto”, per tenere conto in modo più efficace delle diverse caratteristiche dell’offerta formativa: dalla numerosità delle classi agli orari di funzionamento, dalle tipologie di indirizzo alle varie realtà sociali e alle emergenze negli apprendimenti. Nel Piano programmatico non vi è traccia di questo criterio che invece rappresenta lo strumento principe per il governo delle risorse, nel rispetto dell’autonomia scolastica e nella responsabilizzazione di tutti i soggetti istituzionali. La stessa scelta di privilegiare il modello orario delle 24 ore settimanali con l’insegnante unico contrasta con la previsione dell’autonomia e con la possibilità di una riflessione negoziata sulla rimodulazione dell’organizzazione didattica della scuola primaria prevista dall’art. 64 della legge 133/2008. È una scelta in palese contrasto con il Regolamento sull’autonomia (DPR 275/1999 art. 5, commi 1 e 5) che affida alle scuole il compito di adottare “anche per quanto riguarda l’impiego dei docenti, ogni modalità organizzativa che sia espressione di libertà progettuale….”, e prevede che le “modalità di impiego dei docenti possono essere modificate nelle varie classi e sezioni in funzione delle eventuali differenziazioni nelle scelte metodologiche ed organizzative……..”; tenuto conto che anche da una sommaria analisi dei dati ufficiali forniti dal MIUR (primavera 2008) si dimostra che non è il modello didattico della scuola elementare che comporta un maggior fabbisogno di insegnanti (la media è di 1,77 docenti per classe, rispetto a 1,93 per le superiori, 1,97 per la scuola dell’infanzia, 2,10 per la scuola media), ma la capillare presenza della scuola primaria nel territorio (circa 16.000 plessi scolastici e oltre 136.000 classi). Il problema dunque non può essere affrontato con un generale impoverimento del modello organizzativo, ma con una incisiva capacità di gestione della rete scolastica, con il pieno consenso delle comunità locali, con l’adozione di organici di istituto, con l’attivazione di modelli flessibili, con la dotazione di nuove tecnologie, con moderni ambienti di apprendimento e attività laboratoriali; sottolineato che la riduzione del tempo scuola e della pluralità degli insegnamenti produrranno un impoverimento dell’offerta formativa che acuirà le diseguaglianze sociali e territoriali, colpirà i soggetti e le realtà più deboli e creerà disagi e difficoltà alle famiglie, in particolare per la conciliazione degli orari lavorativi con gli orari della scuola dei figli; rilevato che per la scuola dell’infanzia il Piano prevede: di introdurre il modello dell’insegnante unico e dell’orario scolastico a 24 ore settimanali; di reintrodurre l’anticipo dell’ingresso dei bambini a 2 anni e 6 mesi; di marginalizzare la sperimentazione delle sezioni primavera, progetto condiviso e cofinanziato da Regioni e Comuni, che ha avuto riscontro e diffusione notevoli in tutto il Paese; rilevato che per quanto riguarda la scuola primaria si prevede: che siano eliminate le compresenze del personale docente e che sia “privilegiata, ai sensi del decreto legge 1 settembre 2008, n. 137, l’attivazione di classi affidate ad un unico docente e funzionanti per un orario a 24 ore settimanali”; che la possibilità di attivare una più ampia articolazione del tempo scuola a richiesta delle famiglie, sia comunque subordinata alla dotazione organica assegnata alle scuole (tali opzioni sono a 27 ore, corrispondente all’orario di insegnamento di cui al decreto legislativo 59/2004, con esclusione delle attività opzionali facoltative; a 30 ore, comprensiva dell’orario opzionale facoltativo e con l’introduzione del maestro prevalente, nei limiti dell’organico assegnato, integrabili con le risorse disponibili presso le scuole; fino a un massimo di 40 ore settimanali, comprensive della mensa); che l’insegnamento della lingua inglese sia affidato ad insegnanti di classe, formati con un corso della durata di 150/200 ore, che sostituiranno progressivamente tutti gli insegnanti specialisti; rilevato che per quanto riguarda la scuola secondaria di primo grado si prevede: la riduzione dell’orario scolastico normale nella fascia antimeridiana a 29 ore settimanali; la riduzione delle classi con orario prolungato e la riconduzione ad orario normale delle classi con meno di tre rientri pomeridiani e non inserite in un ciclo completo; considerato che da quanto sopra detto emerge in tutta evidenza l’intenzione di voler perseguire solo l’obiettivo della riduzione drastica degli orari scolastici della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, limitandoli prevalentemente alla fascia antimeridiana senza tener conto di alcun progetto pedagogico e didattico e delle diverse problematiche ed emergenze che riguardano l’infanzia e l’adolescenza dei vari territori del Paese nonché senza prendere in considerazione le esigenze e i tempi di organizzazione della vita quotidiana delle famiglie. ritenuto che l’opzione prevalente dell’orario a 24 ore settimanali con il maestro unico indica di fatto l’adozione di tale modello come livello essenziale della prestazione per la definizione del costo standard a danno del modello modulare a 30 ore e dell’orario a 40 ore (il cosiddetto tempo-pieno mai espressamente citato nel Piano); tenuto conto che la riduzione dell’orario scolastico non consentirà di sviluppare le attività curriculari relative alla musica e alle scienze come indicato dai Comitati scientifici istituiti presso il Ministero né di portare avanti e sviluppare la sperimentazione avviata nel 2007 sulla promozione dell’educazione motoria con il supporto di docenti di educazione fisica e laureati in Scienze motorie; considerato che si espropriano le Regioni e gli Enti locali delle prerogative relative alla programmazione dell’offerta formativa, che implica la competenza in materia di distribuzione territoriale dei diversi modelli di tempo scuola; che le misure previste nel Piano per la scuola dell’infanzia mettono colpevolmente in crisi uno dei punti di forza del sistema educativo italiano, unanimemente apprezzato dalle famiglie e dalle comunità locali e di cui sarebbe necessaria la generalizzazione in tutto il Paese; che si demolisce, di fatto, la scuola primaria riformata con la legge n. 148/1990, nata per andare oltre il solo insegnamento del saper scrivere, leggere e far di conto e per rispondere alle nuove sfide educative e formative (l’integrazione dei bambini disabili, l’integrazione in tempi brevi di migliaia di alunni migranti, le difficoltà e le crisi delle famiglie e dei contesti sociali, l’emergere di nuove forme di povertà, di marginalità), anche grazie all’interdisciplinarietà e al lavoro collegiale sperimentato nell’ambito del team di docenti; che anche le misure e i tagli previsti per il personale e per il tempo normale e prolungato della scuola secondaria di primo grado non tengono conto dell’evoluzione dei modelli organizzativi flessibili e della necessità di investire su questo anello “critico” del sistema scolastico per far ritrovare a questo segmento dell’istruzione una missione credibile per la formazione di base dei ragazzi, anche in relazione all’elevamento dell’obbligo d’istruzione a 16 anni, vale a dire un obiettivo strategico per portare il nostro Paese ai livelli europei e per il quale nel Piano manca ogni riscontro e indicazione; considerato che anche per quanto riguarda l’istruzione superiore di secondo grado si procede con la sola logica dei tagli senza un progetto complessivo. Le misure previste appaiono del tutto aleatorie e prive di una rigorosa valutazione dell’impatto e dei tempi necessari per una loro realistica attuazione. A solo titolo di esempio si citano, la riduzione dell’orario settimanale nei licei senza tener conto delle diffuse sperimentazioni in atto, la riconduzione del Liceo della Scienze Sociali in Liceo delle Scienze Umane, le fumose indicazioni relative al futuro dell’Istruzione professionale, del transito di alcuni indirizzi nell’istruzione tecnica, del permanere di taluni istituti, della marginalità di altri corsi brevi, delle ristrutturazioni che irrealisticamente confermano i tempi di attuazione previsti; rilevato per quanto riguarda gli Istituti tecnici e professionali: che a poco più di due mesi dalla scadenza per le iscrizioni, non è ancora definita la riorganizzazione degli istituti e che scelte formative di questa portata richiedono coinvolgimento e condivisione; che la riduzione degli indirizzi, degli orari e delle attività laboratoriali del 30% delle ore di compresenza con i docenti teorici-pratici e che le quote di orario affidate all’autonomia scolastica (nelle misure del 30% nel terzo e quarto anno degli istituti tecnici, del 35% nel quinto anno degli stessi istituti, del 25% nei primi due anni degli istituti professionali, del 35% nel terzo e quarto anno e del 40% nell’ultimo anno) implicano valutazioni sulla comparabilità dei curricola e dei titoli rilasciati sul territorio nazionale, oltre che problematiche sulla piena ed efficace utilizzazione delle professionalità e sulla gestione del personale, che il Piano non esamina; che è mancato qualsiasi confronto con le Regioni per un esame del rapporto tra questi nuovi modelli e i percorsi di istruzione e formazione professionale a partire dai percorsi triennali sperimentali; tenuto conto che per quanto concerne le nuove tipologie dei licei, degli istituti tecnici e professionali è previsto un accorpamento delle cattedre e delle classi di concorso, che prescinde dalla competenza disciplinare specifica dei docenti, con gravi conseguenze sulla qualità dell’offerta formativa ; rilevato che, per quanto concerne i licei classici, linguistici, scientifici e delle scienze umane il Piano prevede la riduzione a 30 delle ore settimanali, con conseguente revisione dei quadri orari previsti dagli allegati al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, senza prevedere le modifiche delle Indicazioni nazionali sui piani di studio e sugli obiettivi specifici di apprendimento e che il Governo non ha fornito indicazioni chiare sulle discipline il cui monte ore sarà confermato, su quelle il cui monte ore sarà diminuito e su quelle delle quali sarà aumentato. Il Piano manca del tutto di una visione complessiva del sistema di istruzione superiore ed è privo di indicazioni sugli obiettivi specifici di apprendimento e dei conseguenti piani di studio; che il Piano non fa alcuna menzione delle sperimentazioni attivate negli anni nei predetti licei, non tiene conto dei risultati ottenuti, in quanto nessuna valutazione di merito su tali sperimentazioni è stata effettuata, e che tutto ciò conferma che quella del Governo non ha nulla a che fare con una riforma ma mira solo alla drastica riduzione della spesa; rilevato che gli Istituti d'Arte, che non vengono nel piano neanche citati, costituiscono una risorsa da preservare e potenziare e che i Licei Artistici, rappresentano fino ad oggi il luogo fisico dove si attua l’esperienza diretta di un fare che è indispensabile per la traduzione estetica delle forme costruite intorno a noi; che la riduzione dell'orario obbligatorio a 32 ore dei licei artistici, senza alcun cenno agli Istituti d'Arte, e senza la modifica degli ordinamenti, dei piani di studio e degli obiettivi di apprendimento confermano la mancanza di un progetto di riforma e che la riduzione dell'orario settimanale dei licei artistici preclude l'azione formativa delle discipline di indirizzo che hanno modalità di svolgimento ed assetti organizzativi in aula diversi da quelle esistenti negli altri indirizzi della scuola superiore; considerato che non emergono nel Piano impegni concreti in direzione dello sviluppo del Life long learning e che anche per i Centri provinciali per gli adulti e per i corsi serali prevale la logica di ridurre l'offerta formativa piuttosto che il suo progressivo ampliamento richiesto dall'Europa; considerato che per quanto riguarda le indicazioni curriculari e programmatiche per tutti i settori scolastici gli unici principi indicati sono quelli dell’essenzializzazione e della semplificazione e che, invece, sarebbe importante che i principi e gli indirizzi fossero ispirati dalla necessità della messa a fuoco degli apprendimenti di base, del profilo educativo e culturale degli alunni, dell’organizzazione progressiva delle conoscenze attorno ad assi culturali, della ricerca di standard di riferimento. Sarebbe, altresì, importante che le necessarie elaborazioni avvenissero in stretto rapporto con il mondo della scuola e si tenesse conto in particolare delle buone pratiche sperimentate nelle tante realtà scolastiche di eccellenza del Paese; considerato che il taglio lineare del 17% del personale ATA non tiene in alcun conto delle varie tipologie degli edifici scolastici e delle diverse esigenze in relazione agli orari di funzionamento delle scuole, all’offerta formativa e alla caratteristiche della popolazione scolastica nonché delle diverse azioni di razionalizzane già avviate nelle varie realtà territoriali; rilevato che nel Piano non è prevista alcune verifica di sostenibilità da parte delle istituzioni scolastiche e che le misure previste mettono a rischio anche i livelli minimi di funzionamento delle scuole; tenuto conto che il Piano non prende in considerazione i suggerimenti del “Quaderno Bianco” più sopra richiamati, circa il rapporto alunni/docenti e incrementa inopinatamente tale rapporto di un punto in tre anni; tale scelta, che ignora la relazione tra turn-over e riduzione dei posti, che determinerà situazioni di soprannumero per il personale a tempo indeterminato facendo venir meno la prospettiva della piena attuazione del Piano di assunzione del personale precario avviato dal precedente Governo, che aveva autorizzato l’immissione in ruolo di 150.000 docenti e 30.000 unità di personale ATA nel triennio 2007-2009; preso atto dell’accordo tra il Governo, le Regione e Gli Enti Locali che per gli anni scolastici 2010/2011 e 2011/2012 prevede, entro il 15 giugno 2009 nella sede della Conferenza Unificata, la stipula di un’intesa per disciplinare l’attività di dimensionamento della rete scolastica con particolare riferimento ai punti di erogazione del servizio scolastico, rinviando così di un anno il cosiddetto “ridimensionamento”; considerate che il Governo, con i tagli effettuati, anziché affrontare i problemi di efficacia, di efficienza e di qualità del sistema di istruzione ha determinato una situazione di preoccupazione e di incertezza che attraversa tutto il mondo della scuola e che ha alimentato la protesta di un movimento ampio, sereno e diffuso di genitori, insegnanti e studenti; considerato che il Piano costituisce il presupposto per la realizzazione di delegificazione regolato secondo quanto stabilito dall’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 23 agosto 1997, n. 281, appare necessario che, fatte salve le disposizioni di legge rientranti nella legislazione concorrente, esso indirizzi la stesura dei regolamenti attenendosi unicamente al pieno rispetto delle “norme generali regolatrici della materia” presenti nell’articolo 64 della legge 133/08 e successive integrazioni e disponga che le norme regolamentari prevedano l’eventuale abrogazione delle norme vigenti, con effetto dalla loro entrata in vigore; considerato nella nota di chiarimenti del Governo – sollecitata dalla V Commissione della Camera – si legge : “l’effettivo conseguimento degli obiettivi di risparmio previsto all’art. 64, comma 6, … è garantito dall’attività di monitoraggio del processo attuativo dei vari interventi (art. 64, comma 7) e dalla prescritta clausola di salvaguardia finanziaria (art. 64, comma 8).” Si tratta di parole inequivocabili che non lasciano dubbi circa gli intendimenti del Governo e sulla incompatibilità delle condizioni posta dal relatore nel parere al Piano. valutata attentamente la proposta di parere del Relatore che condiziona il parere favorevole ad alcune condizioni condivisibili, finalizzate a modificare sostanzialmente il Piano, ma che tuttavia sono in palese contrasto con i tagli previsti. Pertanto il parere, in coerenza con le condizioni poste, dovrebbe contenere la richiesta di modificare i saldi fissati dalla legge 133/2008 nel senso di ridurre i tagli previsti; considerate le valutazioni sopra esposte, i tempi irrealistici di attuazione del Piano in vista delle ravvicinate scadenze per le iscrizioni degli alunni, la necessità di rivedere le previsioni dei tagli alla luce dell’intesa sottoscritta dal Governo con le Regioni e gli Enti Locali nonché delle condizioni poste nel parere del relatore, risulta evidente l’opportunità di procrastinare l’attuazione del Piano programmatico e la sua rielaborazione con la partecipazione attiva del mondo della scuola, delle Regioni, degli Enti Locali e del Parlamento;

Per i motivi su esposti si esprime parere negativo sullo schema di Piano programmatico.

Maria Coscia, Manuela Ghizzoni, Pierfelice Zazzera, Giovanni Bachelet, Emilia De Biasi, Rosa Bruna De Pasquale, Letizia De Torre, Dario Ginefra, Ricardo Levi, Giovanni Lolli, Eugenio Mazzarella, Luigi Nicolais, Caterina Pes, Pina Picierno, Sabina Rossa, Antonino Russo, Alessandra Siragusa,

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