sabato 14 febbraio 2009

“Mediterraneo e Identità plurale” di nino contiliano

di Antonino Contiliano

In questa sperimentazione del soggetto collettivo, protagonista e agente organizzatore del fare poesia con più testi interi o frammenti di poeti diversi (una la mano o di più singolarità poetiche), l’indentità plurale o collettiva è la sua immagine “gleichnisworte” (parola che incarna la somiglianza con la cosa, parola figurata). Non è fuori luogo paragonare il farsi della sua identità a un paesaggio. Quasi come una “metafora narrativa” che racconta il configurarsi della nuova identità mentre viene percepita e ‘raccolta’ quale unità-molteplicità alla stregua dell’identità del paesaggio mediterraneo (il paesaggio mediterraneo descritto da F. Braudel).

È come assumere un punto di vista diverso dal tradizionale soggetto individuale, e quale autore di poesia in situazione non familiare, ma sempre dentro un sistema. Il sistema paesaggio e la storia in movimento della sua identità che si modifica col tempo e l’intreccio degli elementi che vi si innestano e biforcano.

L’identità del soggetto collettivo (autore di un testo collettivo di poesia) che si costruisce come quella di un paesaggio è una ‘metafora’ – strumento linguistico conoscitivo –, e una categoria, non estranea all’armamentario del general intellect quale formazione sociale e storica di procedimenti messi in atto in funzione della conoscenza e dell’azione. Il suo impiego è comune sia al campo delle scienze naturali che umane. Dalla giovinezza come primavera (di memoria aristotelica) all’energia negativa (antimateria) come mare di elettroni (Paul Dirac), la storia ha una sua linea di innegabile continuità nell’utilizzo della metafora come immagine e medium conoscitivo.

E se ciò vale sul piano delle scienze naturali, può egualmente funzionare su quello letterario e poetico. Che il mare sia una metafora, di cui Dirac si è servito per indicare l’esistenza dell’oceano degli elettroni negativi o dell’antimateria, non impedisce di utilizzarlo anche come metafora che indichi l’esistenza di passioni turbolente (tempeste marine); le passioni che agitano il cuore o la mente di un poeta o un individuo qualunque. E in questo caso, come indica Paolo Frabbri, possiamo dirla “metafora narrativa” in quanto dialettica o articolazione che intreccia collettivamente le trasformazioni di una cosa con il suo insieme, l’ambiente particolare di cui fa parte o il suo essere situazione configurantesi conflittuale e dinamica molteplice.

Ciò infatti comporta una “uscita da noi stessi”. Assumere il punto di vista di un paesaggio significa infatti accedere a tutte le variabili materiali in situazione di permanenza e conflitto trasformativo e considerare la “molteplicità dei processi che si intrecciano in ogni situazione e che si intrecciano così nella nostra stessa identità. Si tratta di una conoscenza, potremmo dire, che ha luogo attraverso ciò che è comune. […]. Noi conosciamo solo ciò che co-creiamo. Conoscere e agire […] significa farsi carico di ciò che si offre al pensiero dando vita allo stesso tempo al percorso di una agire concreto: integrale espressione dell’epoca e della situazione”.[1]

La metafora narrativa, infatti, come nesso di più determinazioni non interseca le proprietà comuni di due sole parole/sememi diversi (un animale e un eroe; un fiore e una donna) individualisticamente; non è rapporto solo tra due soli nomi. Vale anche come un rapporto tra concetti astratti: identità e paesaggio. È l’universo discorsivo della lexis e del suo contenuto come azione d’insieme che funziona come motore e processo di trasformazione. L’enunciazione “lirica” del poeta vi si inserisce non come espressione della sola soggetività o dei sentimenti dell’individuo in quanto tale, ma quale voce sociale che riceve una autonoma elaborazione d’insieme collettivo e dinamico.

La metafora narrativa, infatti, sedimenta una modellizzazione complessa di totalità collettivo-parziali all’interno di una totalità più complessiva e dinamica come, per esempio, la totalità di una singola sfera all’interno della sfericità più ampia e comprensiva dell0 spazio studiato da Riemann.

Essa infatti prende nel suo insieme la storia dell’evento, compreso il suo autore o gli autori molteplici, circostanze e altro; e non procede ad oggettivazioni come necessità naturalizzate. Così valori, credenze e pratiche, azioni e passioni, intuizione, concetti e logica, polifonia e dialogo, simbolico e blocco delle sensazioni vengono utilizzati dal soggetto con il modello significante di quella storia, concentrata e sovrapposta, ma esportandone l’iconizzazione semantizzante in altro campo.

Dall’Ulisse omerico, alla selva oscura o al pardés/giardino, al Mosè ebraico e alla parabola del buon seminatore del vangelo (Paolo Fabbri, La svolta semiotica), gli esempi non mancano.

Nella sua tra-duzione intersemiotica entra in gioco, infatti, una migrazione nei due sensi e un “approfondimento laterale” che rendono più ricco semanticamente quanto imprevedibile il bacino della significazione del testo stesso, mentre viene messa in discusione l’identità del soggetto monolitico del testo come unità semplice. La ricchezza dell’intreccio e delle intersecazioni investe, infatti, anche l’autore/gli autori del testo e rimanda più al valore d’uso inutilizzabile che all’utile del semplice omogeneo.

Questi, infatti, in quanto tale, è quantificabile e per questo utile anche socialmente nello scambio del mercato disinteressato dell’interesse di classe e della classe dominante. Come astratto, infatti, è posto un universale naturalizzato, ma funzionale ad uno scambio controllato di rapporti umani e culturali mercantilizzati come rapporti tra cose.

Non è un caso se Valéry ricordava che il “semplice è falso, e ciò che non è semplice è inutilizzabile”.

Se, come nel caso che vogliamo utilizzare e proporre, il ricorso è a un paesaggio geografico – come un “personaggio concettuale”, tanto per saggiare il supporto straniato di una intuizione deleuziana........


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