di Antonino Contiliano
In questa sperimentazione del soggetto         collettivo, protagonista e agente organizzatore del fare poesia con più testi         interi o frammenti di poeti diversi (una la mano o di più singolarità         poetiche), l’indentità plurale o collettiva è la sua immagine “gleichnisworte”         (parola che incarna la somiglianza con la cosa, parola figurata). Non è fuori         luogo paragonare il farsi della sua identità a un paesaggio. Quasi come una         “metafora narrativa” che racconta il configurarsi della nuova identità mentre         viene percepita e ‘raccolta’ quale unità-molteplicità alla stregua         dell’identità del paesaggio mediterraneo (il paesaggio mediterraneo descritto         da F. Braudel).
È come assumere un punto di vista diverso dal         tradizionale soggetto individuale, e quale autore di poesia in situazione non         familiare, ma sempre dentro un sistema. Il sistema paesaggio e la storia in         movimento della sua identità che si modifica col tempo e l’intreccio degli         elementi che vi si innestano e biforcano. 
L’identità del soggetto collettivo (autore di un         testo collettivo di poesia) che si costruisce come quella di un paesaggio è una         ‘metafora’ – strumento linguistico conoscitivo –, e una categoria, non estranea         all’armamentario del general intellect         quale formazione sociale e storica di procedimenti messi in atto in funzione         della conoscenza e dell’azione. Il suo impiego è comune sia al campo delle         scienze naturali che umane. Dalla giovinezza come primavera (di memoria aristotelica) all’energia negativa         (antimateria) come mare di elettroni         (Paul Dirac), la storia ha una sua linea di innegabile continuità nell’utilizzo         della metafora come immagine e medium         conoscitivo.
E se ciò vale sul piano delle scienze naturali,         può egualmente funzionare su quello letterario e poetico. Che il mare sia una         metafora, di cui Dirac si è servito per indicare l’esistenza dell’oceano degli         elettroni negativi o dell’antimateria, non impedisce di utilizzarlo anche come         metafora che indichi l’esistenza di passioni turbolente (tempeste marine); le         passioni che agitano il cuore o la mente di un poeta o un individuo qualunque.         E in questo caso, come indica Paolo Frabbri, possiamo dirla “metafora         narrativa” in quanto dialettica o articolazione che intreccia collettivamente         le trasformazioni di una cosa con il suo insieme, l’ambiente particolare di cui         fa parte o il suo essere situazione configurantesi conflittuale e dinamica         molteplice. 
Ciò infatti comporta una “uscita da noi stessi”.         Assumere il punto di vista di un paesaggio significa infatti accedere a tutte         le variabili materiali in situazione di permanenza e conflitto trasformativo e         considerare la “molteplicità dei processi che si intrecciano in ogni situazione         e che si intrecciano così nella nostra stessa identità. Si tratta di una         conoscenza, potremmo dire, che ha luogo attraverso         ciò che è comune. […]. Noi conosciamo solo ciò che co-creiamo. Conoscere e         agire […] significa farsi carico di ciò che si offre al pensiero dando vita         allo stesso tempo al percorso di una agire concreto: integrale espressione         dell’epoca e della situazione”.[1]
La metafora         narrativa, infatti, come nesso di più determinazioni non interseca le         proprietà comuni di due sole parole/sememi diversi (un animale e un eroe; un         fiore e una donna) individualisticamente; non è rapporto solo tra due soli         nomi. Vale anche come un rapporto tra concetti astratti: identità e paesaggio.         È l’universo discorsivo della lexis e         del suo contenuto come azione d’insieme che funziona come motore e processo di         trasformazione. L’enunciazione “lirica” del poeta vi si inserisce non come         espressione della sola soggetività o dei sentimenti dell’individuo in quanto         tale, ma quale voce sociale che riceve una autonoma elaborazione d’insieme         collettivo e dinamico. 
La metafora         narrativa, infatti, sedimenta una modellizzazione complessa di totalità         collettivo-parziali all’interno di una totalità più complessiva e dinamica         come, per esempio, la totalità di una singola sfera all’interno della sfericità         più ampia e comprensiva dell0 spazio studiato da Riemann. 
Essa infatti prende nel suo insieme la storia         dell’evento, compreso il suo autore o gli autori molteplici, circostanze e         altro; e non procede ad oggettivazioni come necessità naturalizzate. Così valori,         credenze e pratiche, azioni e passioni, intuizione, concetti  e logica, polifonia e dialogo, simbolico e         blocco delle sensazioni vengono utilizzati dal soggetto con il modello         significante di quella storia, concentrata e sovrapposta, ma esportandone l’iconizzazione         semantizzante in altro campo. 
Dall’Ulisse omerico, alla selva oscura o al pardés/giardino, al Mosè ebraico e alla         parabola del buon seminatore del vangelo (Paolo Fabbri, La svolta semiotica), gli esempi non mancano. 
Nella sua tra-duzione intersemiotica entra in         gioco, infatti, una migrazione nei due sensi e un “approfondimento laterale”         che rendono più ricco semanticamente quanto imprevedibile il bacino della         significazione del testo stesso, mentre viene messa in discusione l’identità         del soggetto monolitico del testo come unità semplice. La ricchezza         dell’intreccio e delle intersecazioni investe, infatti, anche l’autore/gli         autori del testo e rimanda più al valore d’uso inutilizzabile che all’utile del         semplice omogeneo. 
Questi, infatti, in quanto tale, è         quantificabile e per questo utile anche socialmente nello scambio del mercato         disinteressato dell’interesse di classe e della classe dominante. Come         astratto, infatti, è posto un universale naturalizzato, ma funzionale ad uno         scambio controllato di rapporti umani e culturali mercantilizzati come rapporti         tra cose.
Non è un caso se Valéry ricordava che il         “semplice è falso, e ciò che non è semplice è inutilizzabile”.
Se, come nel caso che vogliamo utilizzare e         proporre, il ricorso è a un paesaggio geografico – come un “personaggio         concettuale”, tanto per saggiare il supporto straniato di una intuizione         deleuziana........
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